Dare aria alle scuole


Sono entrata in un bel negozio di abbigliamento. Il cartello era chiaro: si entra in 5 al massimo. Eppure era grande almeno come un’aula scolastica. Ma in un’aula scolastica si entra in media in 20. Nel negozio si passa qualche minuto, nell’aula qualche ora. La porta del negozio di apre ogni volta che entra un cliente, quella dell’aula solo a ogni cambio d’ora. La mascherina nel negozio è obbligatoria da mesi, in aula da poche settimane.

Il 7 gennaio torneranno a scuola anche gli studenti delle superiori. Dopo una lunga trattativa il punto di caduta è stato fissato nel rientro a metà (fino a nuovo ordine).

Se metà significherà che metà della classe sta a casa in collegamento con l’aula e metà va a scuola (con turni quotidiani, o settimanali, a gruppi stabili o mescolando i gruppi) ci saranno in media solo 10 ragazzi in un’aula ogni mattinata.

Se invece entreranno a turno metà delle classi ci saranno metà delle aule inutilmente vuote e metà aule con 20 studenti per 6 ore chiusi dentro. I trasporti saranno alleggeriti, ma il distanziamento nelle classi resterà quello minimale del metro e l’aria sarà raramente cambiata viste le temperature rigide invernali. Una serie di indagini scientifiche, modellizzate in tanti video che abbiamo tutti visto online, ci mostrano come si mescolano in una stanza chiusa le emissioni (fiato, tosse, starnuti ecc..) di ciascun individuo.

In Germania mezzo miliardo di euro è stato speso negli ultimi mesi per dotare le scuole di impianti di ventilazione meccanica in grado di fornire il ricambio di aria alle aule e permettere una permanenza a scuola più sicura. In Italia si è speso tre volte tanto per banchi con o senza rotelle e ci si è ritrovati con i banchi deserti nelle aule chiuse. Eppure sistemi che garantiscano una buona qualità dell’aria in aule in cui si stipano per tutta la stagione invernale tante persone sarebbero utili anche una volta superato il Covid. Non sono costi proibitivi. Se solo permettessero un rientro più certo e in sicurezza nelle nostre scuole sarebbero soldi spesi bene. Almeno varrebbe la pena provare in qualche scuola a installarli. E poi verificare se ci sono miglioramenti o no.

E’ chiaro che la didattica migliore è quella che si fa con tutta la classe a scuola. Ma la didattica migliore è quella senza pandemia, e noi la pandemia l’abbiamo ancora, e probabilmente per qualche mese, finché il vaccino non ci fa la grazia, non ce la togliamo di torno. Allora dobbiamo trovare un equilibrio fra capacità di adattare le didattiche e la vita relazionale alle restrizioni che servono a contenere la diffusione del morbo, oppure rassegnarci a focolai, malati e continue quarantene.

Ogni scuola cercherà il suo equilibrio, magari con qualche soluzione creativa: sfasamento degli ingressi, utilizzo di altri locali, turni in verticale ecc…

Ma se non ci sarà una attenta ricognizione delle diverse modalità operative messe in campo al rientro e se non ci sarà un puntuale rilevamento, tracciamento, statistica dettagliata dei contagi fra alunni e insegnanti, non avremo imparato nulla. Ripeteremo opinioni pregiudiziali, o citeremo ricerche fatte in contesti diversissimi dal nostro. Ma non ci capiremo ancora nulla.

Per mesi si è ripetuto il mantra che la scuola era sicura, soprattutto da parte di chi aveva il compito di rendere le scuole sicure e non lo aveva fatto. E si sono accuratamente nascosti i conteggi dei contagi in ambito scolastico in modo che ciascuno conoscesse solo i pochi casi a lui prossimi, ma mancasse un quadro generale della questione. A oggi l’opinione pubblica non sa quanti insegnanti si siano ammalati, e invece sarebbe dirimente saperlo, anche per capire l’incidenza che hanno i trasporti sulla diffusione del virus, dato che spesso i mezzi pubblici riguardano molto più gli alunni che i professori. E mi stupisco che la difesa sindacale si concentri a volte di più su quali prestazioni siano dovute e quali no da parte dei docenti, piuttosto che sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori.

Mai come in questi mesi ci si è rivolti alla scienza. Ma la scienza non è disvelamento magico, o sapienza oracolare. La scienza ha bisogno di sperimentare. La pandemia è un mega-esperimento involontario. Ma volontaria può e deve essere la decisione di indagarlo. E quindi abbiamo bisogno di trasparenza, accessibilità, intelligente articolazione dei dati che raccontano i fatti. Dobbiamo poter raccogliere e trarne cognizioni utili per capire quali siano i livelli di rischio e modificare in funzione di questo norme e comportamenti. Non saranno esercizi retorici o postulazioni di principio, ma una attenta indagine dei fenomeni a farci capire come ottimizzare le possibilità di fare didattiche ragionevolmente buone minimizzando i rischi.